lunedì 8 gennaio 2018

Nel segreto dell'URNA - 1 - La Lega


Ci rendiamo conto quanto sia ridicolo elencare le motivazioni per le quali, nel segreto dell’urna, non daremo il nostro voto alla Lega: basta solo il nome.

Basterebbe anche solo elencare i nomi della dirigenza di partito per far storcere il naso al più volonteroso e democratico elettore.

Ma noi vogliamo un po’ perdere tempo.

Quel tempo che nel mondo liberale e produttivo sembra avere un valore inestimabile e che noi ovviamente, da bravi rivoltosi, vogliamo buttare via in spregio al pensiero comune.

In effetti è un po’ perdere tempo evidenziare come non sia politicamente spendibile un voto ad un partito che già promette alleanze con Silviuccio nostro. Un alleanza che di fatto si configura come subalterna e poco autonoma. Con tutte le conseguenze che ci si possono immaginare. Anche storiche diremmo.

Come è perdere tempo la considerazione del fatto che nella Lega convivano due anime : quella Salviniana e quella Maroniana. Una votata ad un sovranismo di facciata, l’altra radicalmente secessionista. Non è dato sapere quale sia quella egemone; forse la Salviniana fino a quando garantisce le poltrone. Entrambe comunque informate all’idea di Stato Minimo. Flat Tax, Minibot, regionalismo, privatizzazioni i mantra leghisti. D’altronde devi soddisfare il tuo primo elettore: quello con la fabbrichetta, la barchetta e che butta nell’umido le orecchiette con le cime di rapa o il kebab.

Dalla padella UE alla brace nazional-liberale il salto è brevissimo. Questo finto patriottismo che ha come base, in fondo, la constatazione che non si sta mai bene a Sud di un qualcuno che detta le regole. Meglio mettersi il vestito migliore per accedere all’Europa che conta, magari sognando di diventare un land crucco, mollando la compagnia stracciona degli italiani pizza-mandolino-mamma.
E dunque dagli all’Europa delle Banche, all’internazionalismo progressista ma non una parola sulla libertà della circolazione dei capitali. Maastricht ok ma padano.

Riguardo poi alla libera circolazione di persone, si può tranquillamente dire che è la base di legittimazione politica della Lega. Nel senso che se si contingentassero gli sbarchi, i simpatici leghisti perderebbero buona parte del loro programma. Del resto la Bossi-Fini mica si chiama così per nulla: molti immigrati, molto onore. Dunque anche qui una battaglia di facciata, spendibile tra le fila degli xenofobi padani che “vegnen chi a rubà el laurà a numm”.

Diciamocelo, infine: il pessimo tentativo di allargare il consenso anche tra i Terroni con “Il Sud con Salvini” è stato osteggiato primariamente da correnti interne al partito, oltre all’evidenza del fatto che in meridione se lo sono cagato veramente in pochi. Quindi pomodori marci a Napoli e indignazione feroce a Pontida: la scommessa salviniana è quasi costata il premierato.

Il borghismo dunque ha attecchito poco nel radicalismo leghista, risultando solamente propedeutico alla cooptazione di quelle frange “sovraniste” disperse e spaurite, sballottate tra gli estremismi antiUE di CasaPau e di quello stalinista di Rizzo. L’approdo centrista dell’antieuropeismo poteva fare da coperta di Linus. E lo ha fatto, per i diversamente democratici.


Ma noi siamo populisti e non ci facciamo fregare dalle sirene. In questo mondo di falsa politica il nostro fiore all’occhiello è l’irrilevanza.

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