domenica 28 gennaio 2018

Nel segreto dell'URNA - 2 - Liberi e Uguali ( & foglioline )

il ceto medio riflessivo di cultura progressista, una classe in via di estinzione come il Dodo.

Per parlare di Liberi e Uguali e annesse foglioline si potrebbe partire dalla storia politica e personale dei personaggi che hanno dato le mosse a questa lista, tanto dal lato pci-pds-ds-pd quanto dal lato degli azionisti oggi di minoranza della lista stessa e dalla varia provenienza, che potremmo genericamente indicare come ex sinistra radicale.
Ma sarebbe pleonastico: tutti sappiamo di cosa questi personaggi siano stati capaci da circa 25 anni in qua, dal semigolpe che abolì il proporzionale per farci entrare nel fantastico mondo del partito personalistico e aziendalistico a struttura leggera, fino agli accordi sotto banco con Berlusconi, il mercimonio delle poltrone a livello locale mentre si faceva finta di litigare a livello nazionale, le privatizzazioni, le liberalizzazioni, la liquidazione della democrazia sposando la causa del sovranazionalismo tecnocratico in salsa europeista, il golpe bianco di Monti, il fatto che Renzi sia figlio legittimo e più consequenziale della politica di questa gente.
Perciò sui nomi non ci soffermeremo perché nemmeno ne vale la pena.
Altrettanto non ci soffermeremo sul programma che del resto non hanno nemmeno presentato essendo l'operazione LeU esclusivamente un disperato tentativo di perseguire l'autoconservazione di ceto di questo sottobosco politicante che in vita propria ha sempre campato di ciò che gli procurava il partito senza aver mai veramente lavorato un solo giorno.
Ci soffermeremo quindi su una analisi di natura antropologica e chiariremo cosa sia l'ordoulivismo eterno, trasversale tanto ai sostenitori PD quanto a quelli di LeU, che da questo punto di vista possono serenamente essere analizzati in coppia anche perché elettoralmente PD e LeU sono un gioco a somma 0.
Garantiti, ricchi, benestanti, in molti casi direttamente oligarchi e stretti collaboratori, hanno un terminale politico che vale oggi circa il 28-29% che al suo interno può variamente differenziarsi dando però sempre lo stesso risultato complessivo.
Esattamente come nella somma algebrica si può invertire la posizione degli addendi mantenendo uguale il risultato; nello stesso identico modo vale per l'ordoulivismo dei ceti paraculati.
Se il PD prenderà il 22%, LeU si aggirerà tra il 6 e il 7%. PD al 25%, LeU sulla soglia del 3-4%. PD al 20%, LeU vicina alla soglia del 10%. E alla via così. Basta tenere fissa la somma e vedere quanta gente Renzi, per motivi meramente estetici, farà scappare, per sapere quanto Bersani, D'Alema e relativa servitù potranno prendere.

La parabola dell'ordoulivismo eterno è cominciata con l'inizio degli anni '90: alla caduta del blocco orientale del socialismo reale, privi di una qualsiasi seria analisi sul perché ciò fosse accaduto sapendo trovare in quel fondamentale passaggio storico sia cause esogene che endogene ( ce n'erano di entrambi i tipi. Coloro i quali siano ancor oggi convinti che le cause siano state solo esogene non si sono macchiati di ordoulivismo ma si sono ugualmente autoestromessi dall'agone politico e dalla rilevanza sociale preferendo coltivare il rifiuto della realtà e la dimensione esistenziale dei polverosi reperti museali ), gli allora giovani collenneli del pci e della ex nuova sinistra, seguirono semplicemente il giro del fumo pacificandosi con l'idea che essere progressisti banalmente significhi adeguarsi allo spirito dei tempi e all'andazzo.
Quest'idea si cullava nella convinzione, sulla quale torneremo, che progresso ed emancipazioni siano strettamente correlati da un inevitabile nesso di causazione ( ciao còre.... ) e che insieme abbiano un andamento lineare e più o meno ineluttabile ( buonanotte proprio.... ).
Il giro del fumo in quel momento era l'idea che non esistessero più destra e sinistra ma solo politiche moderne o antiquate, secondo quanto esplicitamente teorizzato da Tony Blair e Gerhard Schröder.
Peccato fosse una truffa perché quella era la destra economica più consequenziale sulla piazza, che si mascherava da sinistra semplicemente perché non era conservatrice in quegli ambiti nei quali i diritti siano a costo zero.
A nostra volta non siamo conservatori, il problema è che per creare una bella destra economica però progressista per quel che riguarda le libertà positive, basta essere liberali.
A questo si aggiungano i danni prodotti da Norberto Bobbio in quegli anni che di fatto teorizzò la superiorità antropologica dell'esser liberali, cioè del tutto impropriamente di sinistra, ed ecco ottenuto un risultato micidiale: destrorsi in politica economica con lo zelo tipico dei parvenu, ma convinti di essere gli unici depositari del progresso e dell'antifascismo anche e soprattutto in quanto moralmente e antropologicamente superiori agli altri.
Insomma, una masturbazione egolatrica a misura di ceti benestanti che arricchiscono sulle spalle dei meno abbienti, ma sempre pronti a fare una marcia in favore di qualche minoranza, che si tratta di gay o immigrati.
Da allora, da questa micidiale invenzione, non si sono inventanti nulla di nuovo e ininterrottamente stanno li a mescolare la merda col legnet e a pascersi nella loro convinzione di essere sempre migliori di tutti gli altri.
Per loro non esiste più un bene o un male secondo la sua aderenza a concetti di giusto o sbagliato, se non universali facenti riferimento almeno al punto di vista di sfruttati e esclusi; per loro bene o male dipendono dalla discrepanza tra nuovo e vecchio, ragion per cui il nuovismo renziano li rappresenta perfettamente essendo solo più coerente, e non a caso non parlano più di esclusi e sfruttati ma di ultimi.
Essi sono privilegiati e lo sanno, quindi non vogliono il riscatto degli sfruttati che andrebbe a loro danno; si accontentano di lisciarsi il pelo e pettinare il proprio ego con una idea di giustizia tutta fondata su una carità filantropico-caritatevole nei confronti degli sfigati, degli ultimi appunto.
Se non avessero tradito un passato ruolo storico parlerebbero piuttosto di abolizione dell'esistenza dei primi, quale viatico per una soluzione definitiva dell'esclusione degli ultimi, non vi pare?

In questo senso sono anche strenui difensori dello status quo; altrimenti non si farebbero vanto di essere la lista a camere unificate, rappresentati nella propria immagine pubblica dalla seconda e terza carica istituzionale dello Stato, proprio in un momento in cui abbiamo la disoccupazione U6 al 30% e 12.000.000 di persone stanno risparmiando sulle spese mediche.
Se degli sfruttati gliene fregasse qualcosa evidentemente non si farebbero rappresentare dai massimi rappresentanti del palazzo e delle istituzioni proprio nel momento in cui la società procede ad escludere milioni di persone.

La loro identità è un mix esplosivo di positivismo scientista e presunzione individuale ( la campagna del PD, vota la scienza, o ancora l'idea che il nemico, qua, sia chi non è d'accordo con il decreto Lorenzin, maledetti complottisti antiscientifici! )

Questa Weltanschauung della sinistra evidenzia anche l'irreversibilità del distacco etico-cognitivo di quest'ultima con le fasce non benestanti e dunque maggioritarie della popolazione.
Evidentemente a loro non interessa spiegare e promuovere un bel niente, ma riconoscersi tra già ben inseriti in una precisa cornice.

Purtroppo per loro però le identità, materiali e simboliche, di un tempo si sono sciolte ma Marx aveva ragione su una cosa molta precisa: la classe esiste, in sé prima ancora che per sé, anche se non ne ha consapevolezza.
Sicché nonostante l'egemonia dell'ideologia liberista di cui gli ordoulivisti sono i più consequenziali interpreti, preso i ceti meno abbienti prevale come priorità la percezione dei propri problemi materiali più che non il sentirsi fighi di chi può permettersi di titillare il proprio ego perché non ha problemi economici e lavorativi, infatti dei ceti meno abbienti a sinistra non vota più nessuno.

Per noi persone normali il "nuovo", se è privo di contenuti riferiti ai nostri legittimi interessi materiali o addirittura porta con sé danni e arretramenti esattamente su questo fronte regalandoci solo maggior paura del domani, risulta essere soltanto un vuoto nichilista o se preferite una sòla che ci fa pure un po' schifo.
l'Ancien Régime nobiliare, patriarcale, religioso e reazionario così come in seguito i partiti conservatori che tutelavano gli interessi dei ricchi e degli sfruttatori come ad esempio la DC, sono un retaggio passato ormai non più sistematico/sistemico.
Oggi si può essere progressisti e stare ancor più consequenzialmente coi padroni.
Ciò non è un motivo per diventare reazionaria e se il liberalismo va respinto, ciò è dovuto alla sua dimensione di individualismo metodologico, ma quell'idea gretta e retriva di nemico esiste oggi solo come retaggio nostalgico e minoritario e la sinistra, quindi, ha totalmente espunto il tema della lotta di classe dal proprio orizzonte.
In tal modo, rimane in essa soltanto l'istanza borghese-liberale iniziale, ovvero il culto del progresso.
Un progresso che ha come fine se stesso, così come la produzione e riproduzione capitalistiche che esauriscono il proprio senso nel reiterare accumulazione e concentrazione di capitale.
A che ti servono i soldi? Ad avere più soldi.
Nello stesso modo a che ti serve essere progressista senza lotta di classe? A lavarsi la coscienza e a sentirsi buoni, moderni, progrediti.
Insomma: puro nichilismo.
Tutto questo è inoltre una forma di determinismo storico estremista e meccanicistico secondo il quale ciò che è "nuovo" si propone come principio di valore auto-legittimante: si tratta d'un nichilismo supremo per il quale il fine è nulla e il movimento è tut
to.

Non avendo finalità se non l'egolatria e l'autoconservazione di ceto, essi non hanno nemmeno orizzonti programmatici e strategici se non la difesa in sé e per sé di un andazzo sul quale stanno bene a galla e in questo si evidenzia anche il loro profilo squisitamente borghesuccio, paraculato, da gente con la panza piena e il culo al caldo.
Purtroppo per loro questo neodemocristianismo mascherato da sinistra ha il respiro cortissimo perché, come vari studi politologici, sociologici ed economici, ormai da anni stanno evidenziando, ad una ormai remota cetomedizzazione delle classi popolari è seguita una approfondita tendenza all'assottigliamento del ceto medio, con aumento della divaricazione tra chi diventa ultraricco e chi sprofonda verso l'esclusione: il ceto medio sta estinguendosi e chi si ostina a voler tenere in vita il punto di vista e la cultura politica di un ceto in estinzione, ad essere ottimisti si condanna all'autoreferenzialità.
Una forma di solipsismo che nel caso della sinistra è diventata a questo punto non solo manifesta ma anche patologicamente compiaciuta.

Si guardi alla composizione sociale del voto: la sinistra ormai esprime prevalentemente una composizione incentrata su ceto dirigente della pubblica amministrazione, funzionariato privato, professionisti affermati eccetera.
I leader di sinistra, cioè, non parlano fisicamente con un operaio, un disoccupato o un sotto-occupato da almeno una ventina d'anni. Poi si sorprendono se non vengono votati....
D'altra parte se questo rapporto con i ceti disagiati esistesse ancora, vedremmo da parte di questi stessi dirigenti dei tentativi di mediazione su determinati temi con la propria base sociale.
Su questioni cruciali come l'Unione Europea o l'immigrazione, infatti, temi in merito quali i ceti medio bassi hanno una posizione fondata sulla condizioni materiali più che non sulle astrazioni, nel bene e nel male ( quindi una chiara e giusta ostilità all'UE, ma anche una ostilità all'immigrazione purtroppo facilmente riconvertibile da destra come ostilità verso gli immigrati ), si manifesterebbe la volontà di mediare con quelli che sono i sentimenti e le istanze espressi dalla maggioranza della popolazione.
Avremmo quindi riavuto un riallineamento della sinistra dal proprio europeismo acritico, o al più altereuropeismo onirico, nella direzione di un pragmatico solidarismo europeo disponibile a rompere i propri rapporti con la UE se spazi di rifoma non si apriranno velocemente ( come hanno fatto i francesi di Mélenchon ); nello stesso modo sull'immigrazione si porrebbe un argine alle destra articolando una proposta che tenga insieme regolarizzazione e regolamentazione, così da arginare pulsioni fasciste ma tranquillizzare i meno abbienti sul fatto che non verranno incentivate ulteriori competizioni ribassiste sulla suddivisione delle risorse per lo stato sociale e costo del lavoro.
Ma a sinistra non avviene nulla di tutto questo.
Nel caso del PD guidato da Matteo Renzi, per esempio, volendo mantenere un 30% di bacino elettorale, qualche piccolissima mediazione di facciata su questi punti è stata fatta: instaurando trattative sul fiscal compact in sede europea, cioè mera esteriorità ma almeno a livello di immagine hanno cercato di non risultare completamente appiattiti, oppure enunciando la necessità di istituire soglie ai flussi migratori ma nel peggior modo possibile, inseguendo con Minniti la Lega.
Liberi e Uguali invece non sente di dover compiere mediazioni di sorta.
La sinistra-sinistra esprime posizioni  antitetiche e diametralmente opposte a quelle vigenti presso la maggioranza assoluta dei ceti impoveriti: posizioni come il rilancio dello Stato Unico Europeo o  la deregulation totale dei flussi migratori, indicano chiaramente l'intenzione di bypassare qualsiasi mediazione coi ceti poveri e impoveriti.
Non ne fanno parte, non ne capiscono il punto di vista, non sono interessati a rappresentarli e non riescono nemmeno a mascherare un certo qual disprezzo.

Attualmente tra ceti popolari, PD e soprattutto sinistra alla sinistra del PD, non vi è alcuno scambio o relazione, nessun interesse; forse se anche l'interesse ci fosse mancherebbero ormai anche le categorie concettuali e comunicative per reistituire un rapporto, il divorzio è durato troppo lungo e da separati nei fatti si è ormai integralmente separati anche negli affetti.
Liberi e Uguali, la lista rappresentata come volti immagine da Grasso e Boldrini, è soltanto conferma dell'indirizzo autoreferenziale intrapreso dalla (ex)borghesia di sinistra.
Tali volti e tali simboli esprimono soltanto la succitata distanza dalle classi popolari: distanza culturale, cognitiva, etica e in definitiva umana.
Per questo e non per altro Laura Boldrini suscita sentimenti popolari di ostilità - spesso e purtroppo accompagnati da commenti che sono per davvero sessisti - più di qualsiasi altra figura politica femminile.
Il popolo capisce di aver di fronte una novella Maria Antonietta, in un contesto nel quale manca il pane, e quest'ultima non suggerisce nemmeno brioches ma la sostituzione delle vocali alla fine delle parole....Crediamo non ci sia altro da aggiungere.
Il ceto politico della sinistra ha ormai perso la strada da troppo tempo, ormai non hanno più alcuna capacità di decodificare la realtà, non hanno professionalità politiche neanche minime, non hanno idea dei rapporti sociali.
La loro incapacità politica è inemendabile perché è radicata ormai in un autentico deficit cognitivo.

A tutto questo aggiungiamo anche lo scarsissimo livello culturale e di consapevolezza di sé della borghesia italiana e avremo quindi un'idea di quale possa essere il livello - anche dal punto di vista culturale - che può esprimere questa compagine di borghesi parvenu convinti di essere continuità storica della sinistra più cazzuta.
Riprendiamo ad esempio le recenti dichiarazioni di Fratoianni sull'Europa.
"Bisogna avere un impianto fortemente europeista, ovvero che ponga in discussione la sovranità nazionale come punto di riferimento"
(Nicola Fratoianni, Sinistra Italiana/Liberi e Uguali, 22 dicembre 2017)
In poche parole Fratoianni liquida:
- la memoria storica dell'internazionalismo proletario, il quale ha SEMPRE messo avanti il rispetto e l'inviolabilità della sovranità e dell'indipendenza nazionale come forma di difesa dei popoli dal sopruso di paesi più forti, ricchi e potenti. Indipendenza nazionale come argine agli sciovinismi imperiali. Evidentemente per questi poveri cazzoni Ho Chi Minh era rossobruno.
- l'intero retaggio delle conquiste del movimento operaio, perchè lo stato sociale è una conquista che risiedeva integralmente negli ordinamenti nazionali.
- qualsiasi prospettiva di cooperazione internazionalista con le sinistre di altri paesi, dato che ormai di acriticamente europeista è rimasto solo Tsipras e non è che questo sia proprio un gran motivo di vanto.

Che il federalismo europeo, da von Hayek alla Mont Pelerin Society, sia sempre stato il cavallo di Troia degli oligarchi per riprendersi tutto con tanto di interessi, è un dubbio che nemmeno remotamente li sfiora mentre mettono in fila parole a caso, incapaci di rendersi conto che le istituzioni vivono perché si radicano dentro un senso di comunità e di identità nazionale.
L'appartenenza ad una collettività, fondata su basi storiche, linguistiche, culturali comuni ( non spirituali o bioligiciste; questa sarebbe al contrario la lettura da destra, che non sanno discernere ), è ciò che radica nella realtà sociale la legittimazione delle istituzioni.
Se manca tale radicamento, perché i cittadini europei si sentono tedeschi, francesi, italiani, ecc. prima che europei, non possono esservi istituzioni radicate nella comunità e quindi democratiche.
Ci possono solo essere soltanto agenzie e strutture tecniche guidate dall'alto e senza legittimazione popolare.
Senza Stato, senza indipendenza e sovranità nazionale, non vi è politico.

Liberi e Uguali: autoconservazione di ceti in via di estinzione attraverso il rifiuto del politico.



Il collettivo ringrazia per gli spunti dai quali abbiamo liberamente attinto per poi sistematizzarli, l'attore Riccardo Paccosi e Tupac Amarù.



giovedì 25 gennaio 2018

La sinistra dei Tartari


Questa volta viene pubblicato sulla pagina del collettivo un punto di vista un po' personale.
I nostri pochi lettori perdoneranno quest'atto forse in fondo indebitamente narcisistico, ma se sono qua a leggere è perché a propria volta dediti al culto dell'irrilevanza; saranno quindi comprensivi e accondiscendenti nei confronti di un post particolarmente irrilevante.

In questi anni mi sono sbattuto molto affinché a sinistra si smuovessero un po' le acque e si cominciasse a ragionare seriamente dell'insormontabile problema che l'Unione Europea rappresenta per cercare di arrestare e invertire questa spirale che ci sta trascinando sempre più verso l'impoverimento e che della nostra democrazia costituzionalmente garantita ci sta lasciando solo una scatola vuota, consegnandoci in sua vece una vera e propria restaurazione oligarchica.

Niente, non c'è stato niente da fare.
Ho conosciuto tanti singoli individui con gli occhi aperti, generosamente dediti allo stesso tentativo, ma non c'è stato nulla da fare.
Per questo ciclo elettorale - io cominciai esplicitamente questa battaglia in vista del precedente ciclo elettorale - abbiamo perso il giro perché sono ancora una volta riusciti a renderci irrilevanti.
Per difendere i loro errori, la loro insipienza ed infine il cadreghino con i quali, bene o male, 4 incartapecorite dirigenze ancora mangiano pur non avendo più alcun popolo alle spalle.
Vale per tutti.
Da Fuffistra Italiana a Rifondazione Dadaista, passando per la CGIL.
Non abbiamo più fortezza da presidiare. Dobbiamo solo dargli fuoco e lasciarcele alle spalle, incamminarci.
Tutti sanno, tutti fanno orecchie da mercante, tutti cercano di tagliarti le gambe appena mostri di pensare con le tua testa e osi toccare qualche tema scomodo; temi che quindi conoscono a loro volta benissimo esprimendo una malafede che puzza da lontano.
Inconsapevoli, ma non meno dannosi, gli anarcocosi centrosocialin-negrieri.
Quelli non ci hanno proprio capito un cazzo ma fanno danni lo stesso.
"Utili idioti, diciamo", citando così in tre sole parole, il leader di cui da troppo tempo non meritiamo più nemmeno la memoria, e quello che invece si meritano quelli che ancora corrono dietro al sogno stinto dell'ordoulivismo.

Anche questa volta, come tante altre in precedenza anche su altre battaglie importanti ma ormai lontane nel tempo, molti tra i pochi che hanno fatto lo sforzo di brillare quando ancora mancava qualche anno al voto, si sono lasciati risucchiare nel gorgo elettoralistico immolando su quell'altare tutte le proprie opzioni.
Inutile far nomi: rappresentanti di questo tentativo di dire cose intelligenti normalizzando qualsiasi reale obiettivo strategico in nome d'una cadrega, li trovate ovunque: dai Fassina e D'Attorre dentro Liberi e Uguali, ad Eurostop al seguito degli eurosognatori forenzosi con o sensa corteo e fumogeni, fino all'apice dadaistico di Bagnai con la Lega, contro l'euro ma per il jobs act e la flat tax.
Alcuni questa scelta l'hanno fatta in buona fede e non ne caveranno comunque nulla fuori, altri riusciranno a fare danni. Il risultato è sempre lo stesso: qualche anno di bei discorsi per poi rimangiarsi tutto a due mesi dal voto, per riportare in parlamento gente che ha concorso a scassare i diritti costituzionali dei lavoratori e che non cambierà perchè non vuole e non può farlo.

Cosa fatta, capo ha!

Forse tutto questo non è neanche un male perché queste elezioni rimettono definitivamente un ordine in anni di moto browniano.  

"Collocatevi, cazzo", è una operazione non solo di chiarezza politica ma oltre un certo limite, addirittura di pulizia morale.
Abbiamo alle spalle oltre un lustro di sbattimenti circondati da pulviscolo che si muoveva casualmente per moto browniano.
Anche per questo, oltre che per protagonismi e incapacità organizzativa, non si è riusciti a quagliare: la maggior parte delle persone non era interessata a costruire ma a tessere relazioni per mettere insieme la "cordatina" da capitalizzare personalisticamente a pochi mesi dal voto.
E fare apprezzamenti e valutazioni personali e personalistici non solo sarebbe inutile: sarebbe proprio puerilmente prepolitico.
Davanti abbiamo un ciclo di lavoro di un altro lustro.
Il materiale umano minimamente interessante che resta è.....tutto quello che non si è collocato a questo giro elettorale, se Dio vuole portatore di salvifica chiarezza.


In questo che è anche momento di bilanci, quello che sento di dover fare è autocritica.
Se ho fallito anche io nel dare gambe alla strategia che ritengo necessaria, oltre che per incapacità organizzativa e visione tattica, questo dipende anche dal fatto di essermi troppo a lungo incaponito nella speranza di smuovere una sinistra che non vuole essere smossa, non può essere smossa.


Forse molti di voi avete letto Il deserto dei Tartati di Dino Buzzati.
Vedete, nella fortezza Bastiani, il tenente Drogo ha due nemici.
Uno lo ha davanti, anche se non si vede fino alla fine della sua vita quando ormai, paradossalmente, è troppo tardi perché l'intera vita è stata vanificata sfumando in una inutile e logorante attesa.
L'altro nemico è dietro alle spalle, è il potere che lo tiene li.

Davanti l'invasore che tutti aspettano, e che secondo me è la restaurazione oligarchica armata con l'artiglieria della finanza internazionale e che ha per fuoco di interdizione una concezione completamente acritica di progresso, il nuovo per il nuovo, l'illusione che l'emancipazione segua un percorso lineare.
Uno dietro le spalle: il paese profondo delle disonestà sistemiche, del famo a accomodosse, una mano lava l'altra e non sappia la mano destra cosa fa la sinistra, piccole e grandi clientele, opportunismi, espedienti.
Quel paese che non rivendica, s'arrangia. Ma sempre individualmente e a spese altrui, non rendendosi conto che questo agitarsi nel fango da pesci piccoli non ti salverà da fauci più grandi, quando arriveranno.
Quella meschinità da piccolo mondo antico, quell'ipocrisia da vecchia borghesia ammuffita, da maresciallo che gioca a carte nel retrobottega del bar centrale del paese col prevosto e il farmacista, quel moralismo che puzza di centrodestra ma ravvivato da sbrilluccicanti mignottoni sculettanti in TV in salsa berlusconiana: ricchi premi e cotillons.
Questo è il conformismo della disciplina dell'indisciplina, quello che tiene in avanguardia il sottotenente Drogo nella fortezza Bastiani, a sprecare la vita nell'attesa inutile.


Cari amici, amiche, se siete romantici compagni e compagne, cari compatrioti del collettivo UPUC: se per non sprecare la vita nell'attesa è inaccettabile, come un nuovista arrampicatore sociale qualsiasi, scappare dalla fortezza Bastiani per passare tra le fila dei Tartari emulando i tanti piddini mossi da opportunismo assessorile fino a quelli che nello stesso modo diventano direttori in banca o consiglieri di amministrazione di enti in via di privatizzazione, è altrettanto sbagliato e dannoso disertare dai ranghi dalla fortezza per farsi assumere nel corpo diplomatico del nemico alle spalle.
Questo però non significa che si possa rimanere asserragliati nella fortezza Bastiani a fare testimonialmente il proprio dovere come troppo a lungo ho fatto io.

Disertare da quella fortezza si può, si deve; anzi, andandosene è bene aver prima minato le mura.
Che l'illusione di avere una fortezza da presidiare non rovini inutilmente altre vite, magari preziose se altrimenti spese.
Né coi Tartati tradendo in favore del nemico di fronte, né col corpo diplomatico del nemico alle spalle: zaino in spalla e diamo fuoco alla fortezza Bastiani!
Ormai non ha più senso presidiare il nulla.

Avanti c'è il deserto, oltre chissà.
E "chissà", sarà sempre mille volte meglio che rimanere qua a aspettare, perchè già sappiamo cosa ci aspetta aspettando.
Avanti, in marcia, il cammino è appena cominciato.

Alle spalle partiti venduti, sindacati gialli, e anche brave persone che non si rassegnano all'idea che il tempo è passato e se lo scontro è sempre lo stesso tocca imparare a combattere in un nuovo modo.
In ogni caso parliamo di rovine.
Che importa?

Enea


Vi saluto con le parole di Buenaventura Durruti.


Le rovine non le temiamo.
Erediteremo la terra, su questo non c'è il minimo dubbio.
La borghesia dovrà farlo a pezzi il suo mondo, prima di uscire dalla scena della storia.
Noi portiamo un mondo nuovo dentro di noi,
e questo mondo, ogni momento che passa, cresce.
Sta crescendo, proprio adesso che io sto parlando con te.


giovedì 18 gennaio 2018

Stiamo sul cazzo, dunque siamo.



“Papà, cosa vuol dire Populismo?”
“Vuol dire stare con il popolo, amore mio”
“non dare retta a tuo padre, Populismo non vuole dire questo”

Ha ragione mia moglie, Populismo non vuol dire stare dalla parte del popolo, o per lo meno, non vuol dire solo questo.
Vuol dire innanzitutto stare sul cazzo, andare in odio (o in culo, a seconda del livello aristocratico del lettore) ai più:
ai conformisti,
ai finti rivoluzionari,
agli intellettuali colti e moralisti,così campioni di solipsismo da non farsi cogliere mai dal sospetto di avere questo problema,
al potere mediatico.
A chi crede di essere un ruolo invece che una persona.
A chi crede si sapere ( etarcoS ).
A chi non si interroga.
A chi guarda il telegiornale.
A chi vota il meno peggio.
A chi vota il meglio.
A chi fate presto.
A chi vieni con noi.
A chi è antifascista, femminista, europeista, egualitarista, ma pretende che lo sia anche tu e che lo sia proprio a modo suo!
A quelli delle fake news.
A quelli che scendono a pisciare il cane.
A quelli contro lo sciopero dei mezzi.
A quelli che quello li è una brava persona.
A quelli che non ti permettere.
A quelli che non conti un cazzo.
A quelli dell’impegno politico.
A quelli che facciamo un movimento ma solo come dico io.

Siamo populisti perché le etichette del regime noi ce le attacchiamo al petto con orgoglio.
Perché essere classificati come quelli che stanno sul cazzo in una società che premia soltanto stronzi, presuntuosi e ammanicati, se non è certezza del fatto che sei una persona almeno decente, come minimo è già un buon indizio.

Perché la nostra irrilevanza è la nostra forza e perché non ci avrete come volete voi.
Perché siamo stati stronzi mille volte e siccome non ci sentiamo troppo in alto sappiamo che lo saremo altre mille, ma lo saremo in disinteressata buona fede e in ogni caso "mai per conto terzi".

Soprattutto sotto elezioni ci piace stare sul cazzo di fronte a ciascuno venditore di salvezze vere o presunte,
Di fronte a quelli che siccome hanno fatto "qualcosa" si pretendono al di sopra di qualsiasi critica,
Di fronte a quelli che hanno tutte le soluzioni ma non si capisce bene perché non provino mai ad applicarne una nei 4 anni e 9 mesi che intercorrono tra una campagna elettorale e l'altra,
Di fronte a quelli che non vogliono provare a far crescere qualcosa crescendo col popolo, ma pensano sempre sia un atto loro dovuto che il popolo li segua,
Di fronte a quelli che pensano di sapere cosa il popolo voglia, ma non ci stanno in mezzo per chiederglielo.

Non provate a venderci la vostra salvezza, non compriamo.
Anzi, per citare un eroe dei nostri tempi, noi siamo al verde, andiamo in bianco e il nostro conto è in rosso, quindi possiamo essere fedeli alla nostra bandiera.Noi non stiamo sul cazzo a tutti quelli che sono come noi, perché non è un solipsistico elitismo il nostro cioè una ricerca del disprezzo per coltivare l'orgoglio di elevarsi dalle altre persone.
Al contrario noi vogliamo stare sul cazzo a chi sta sopra di noi e, non essendoci ancora riusciti perché di noi non si sono accorti, riusciamo però nel frattempo a stare molto sul cazzo a chi si crede al di sopra di noi.
E questo ci conforta dato che ci dice che nell'irrilevanza abbiamo trovato quella libertà dal giudizio degli altri che ci permette di fare schifo ai conformisti, ai bigotti di qualsiasi verità preconfezionata, ai questurini della fantasia, ai secondini dell'ironia e finanche a quelli dell'(auto)erotismo e a tutti gli abituati a prendersi molto sul serio proprio perché sono poco seri e che per questo non sanno mai ridere di sé.

Come abbiamo già affermato in una recente occasione: <In questo mondo di falsa politica il nostro fiore all’occhiello è l’irrilevanza.>
Se qualche anno di resistenza umana in comune qualcosa ci ha insegnato è che l'irrilevanza è una questione di riconoscimento sociale, da non confondere con l'insignificanza che è una condizione esistenziale.
Si può essere irrilevanti senza per fortuna essere insignificanti.
Ed essere parte di una comunità umana di irrilevanti serenamente pacificati col fatto di esser tali, e intenzionati a rimanere tali in virtù dello stigma sociale di quelli tanto per bene, a proprio modo, è meraviglioso.

Si, della vostra riprovazione non ce ne frega un cazzo ed anzi essa è la benzina che alimenta la nostra identità.



Aderiamo dunque al manifesto degli Irrilevanti del Marchese Fulvio Abbate che riportiamo di seguito.

di Fulvio Abbate

Irrilevanti di tutto il mondo unitevi! Se fosse un manifesto – il Manifesto degli Irrilevanti, appunto – dovrebbe aprirsi proprio con queste parole, benché già sentite, decisamente retoriche, tuttavia convincenti per chi voglia contarsi e uscire dalla botola nella quale quegli altri, cioè coloro che invece a vario titolo “contano”, ti hanno buttato dentro. Perché gli irrilevanti sono, sì, maggioranza, ma anche incapaci di dire a se stessi, e dunque trasformare questa condizione oggettiva indotta in combustibile narcisistico, torba per sollevarsi davanti alla miseria di chi invece può, “ha potere”, gode della considerazione sociale presso ogni angolo di strada e caseggiato. Dire a se stessi, appunto, che no, non ci avranno, così senza neppure bisogno di credere alle scie chimiche e ai rettiliani o ritenendo che sia “colpa degli stranieri”. Intendiamoci, se certuni hanno buon gioco a discapito di altri, cioè degli irrilevanti, molto dipende dal fatto che la miseria culturale è ormai generalizzata, non esiste pensiero sulle cose, semmai adesione acefala a un tempo che, se dovessimo riferirlo alle stagioni cinematografiche, andrebbe detto dei “telefonini bianchi”, il genere più amato e comprensibile in mediocrazia. La lista degli acefali è assai lunga, ciononostante proveremo ad accennarla, sia pure per difetto. Al tifoso non puoi toccare la sciarpa, all’hipster la barba, ai brigatisti non puoi sfiorare l’orgoglio di aver assassinato Moro; a quegli altri, i sensibili di sinistra, non puoi dire male dell’ultimo film della Archibugi o di Virzì; ai fascisti non puoi toccare il duce, alla nipote del duce non puoi dire che il duce era cattivo, alle neofemministe non va detto che, con la scusa di Weinstein, qualcuno vorrebbe reintrodurre la verginità, agli amministratori di condominio non puoi dire che provi orrore per i loro miseri millesimi, a Berlusconi non puoi dire che le sue dentiere non funzionano, ai leghisti che le razze non esistono. E questo in un mondo, in un paese, dove tutti si guardano in faccia con risentimento tenendo stretti in pugno proprio i millesimi, come fossero figurine Panini, e con questo ritengo di avere detto se non tutto, molto.
Sia chiaro, l'irrilevante non è tale rispetto ai propri eventuali limiti oggettivi, lo è semmai poiché qualcuno ha deciso che debba essere tenuto in quella condizione, in quella condizione permanente, il caso della carta stampata e di tutti gli altri media, in questo senso, parla chiaro: si lavora a selezionare le opinioni, a depotenziale, e intanto si dice che il web andrebbe presidiato per il bene di tutti. Perfino a sinistra l’hanno detto, evidentemente la fuga dal controllo si fa sentire, e dunque chi deve, chi può, corre ai ripari. Non sia mai che qualcuno si organizzi da solo? Ho semplificato, lo so, ma spero capiate lo stesso.
La condizione dell’irrilevante, talvolta, fa pensare, anzi, è assai simile alla trama di un film d’anni fa: prendono uno e gli dicono di restare nascosto sotto terra, a pedalare per produrre elettricità perché la guerra non è ancora finita, visto che, nel frattempo, gli eroici partigiani stanno ancora combattendo, lo tengono lì con l’inganno, e lui intanto pedala pedala, “… mi raccomando, non fermarti, che dobbiamo ancora vincere la guerra!”, così gli dicono, e quello, obbediente alla causa, alle parole degli altri, fiducioso, pedala affinché le lampadine della futura vittoria restino sempre accese, facciano luce al trionfo che sarà. Poi, un giorno, per puro caso, sempre lui, quello che tenevano sotto terra, dà un’occhiata fuori dalla cantina e scopre che in strada, alla luce, c’è, metti, Rita Pavone che canta “Il ballo del mattone”, dunque non era vero che la guerra ancora… A quel punto, presa coscienza dell’inganno, l’uomo si imbruttisce e decide di abbatterli tutti. Lo so, è assai difficile in un paese segnato dal familismo immaginare un simile festoso epilogo. Però almeno gli artisti, gli intellettuali, gli scrittori è bene che ci provino, visto che non spetta loro lavorare per il consenso, siamo forse ancora al tempo della querelle tra Togliatti e Vittorini, no? La “vocazione maggioritaria” è l’ennesimo inganno, dopo quella del “compromesso storico”.
A proposito di fantasia cui far ricorso nella condizione di irrilevanza, ho un’altra storia da raccontare. A Palermo, molti anni fa, nacque l’Associazione indigenti, lui, il leader, se così può dirsi, si chiamava Salvatore Raia, un povero pieno di iniziativa, però un povero povero. Raia, fra poco altro, campava attaccando nottetempo i manifesti per il Pci (e anche per il manifesto, che allora, era il 1972, aveva candidato l’anarchico Valpreda per farlo uscire di prigione, cosa che fece infuriare i comunisti, ora che ci penso, quando se ne accorsero), Raia, cui è stato perfino dedicato un romanzo scritto da Matteo Collura, “Associazione indigenti, ovvero i miserabili a Palermo”, Einaudi, 1979.
Con una corte di poveri e straccioni, il suo personale Sesto stato, Raia, periodicamente, forte proprio di un’immensa incancellabile irrilevanza, andava sotto i palazzi del Comune a protestare per far ottenere uno straccio di sussido a quel popolo già straccione e sdentato, simile ai poveri mostrati da Luis Buñuel in “Viridiana”, o forse bastava un semplice piatto, un buono-pasto; una volta, Raia e i suoi, decisero perfino di andare tutti insieme a Roma, a trovare, a presentarsi dal papa, come se questi, proprio il papa, fosse un amico, una sorta di mega-assessore planetario alla casa, all’assistenza, al pane e al vino, cui raccomandarsi, peccato per loro, peccato per tutti, i poliziotti li fermarono mentre, come in un esodo, stavano per salire, in centinaia, sul treno, ne venne fuori un parapiglia, una carica dove, la più povera e anziana di tutta l’armata Raia, in segno di difesa e forse anche di arcaica rivolta, dette in faccia a un agente della polfer un piatto-souvenir di ceramica con l’effigie di Giovanni XXIII, il “papa buono”. Ma il piatto non si ruppe.
“E questo significa, tu lo capisci cosa significa? Significa che ha stato un miracolo”, disse la povera vecchia nel suo povero dialetto dei cafarnai cittadini, subito confortata da un grande cenno pronunciato con il capo da Salvatore Raia, analfabeta, giacca cachi e penna nel taschino, tuttavia perfino munito di biglietto da visita che ne qualificava orgogliosamente il proprio ruolo sociale, da autoconvocato, "Presidente dell' associazione Anonima indigenti". Raia, che aveva perfino un suo segretario, tale Serio, incaricato di scrivergli e decifrargli le lettere, quasi un ambasciatore, un ministro plenipotenziario del suo antistato parallelo.
Proprio Raia, pensando agli irrilevanti, costretti ad affrontare il cinismo crudele degli altri, i convinti che l’assenza di ambizione per il potere sia uno stigma, così come la povertà, l’assenza di voce che non incontri soltanto lo scherno dei ruffiani e degli ostaggi dell’autorità riconosciuta, e qui, forse, c’è una delle spiegazioni all’agonia attuale della sinistra, proprio Raia mi è tornato ancora in mente guardando, sempre per caso, l’altro giorno, una foto dei funerali di Togliatti, dove una nonna tiene per mano una bambina, lì immobili sul marciapiedi dell’agosto 1964, in attesa che passi il carro funebre, e la bambina guarda l’obiettivo, dove immaginare adesso, adulta, quella bambina? Ma sopratutto, tornerà mai il sogno del viaggio? Tornerà mai il rispetto, a cominciare da noi stessi, per ciò che Pier Paolo Pasolini chiamava “l’epopea degli umili”? Ma soprattutto, dove sarà adesso il piatto miracoloso di papa Giovanni?

Irrilevanti di tutto il mondo uniamoci! 

Solo una piccola annotazione vogliamo aggiungere, come se fosse un piccolo apostrofo di narcisismo identitario, il plutonio che alimenta il nostro sdegno.

Ci chiamiamo Un Pezzo, Un Culo per tributare il nostro massimo rispetto e devozione alla memoria di Gian Maria Volonté, artista del Popolo, che per tutta la vita ha denunciato l'orrore morale dei potenti, dei rilevanti e attraverso di lui tributiamo il nostro debito di riconoscenza anche al personaggio di Lulù Massa, cui dobbiamo il nome, anche se non era un eroe.
Anzi, proprio perché non era un eroe.

Il nostro nome però dipende anche da quello che il regista Elio Petri disse quando La classe operaia va in paradiso uscì:

<Con il mio film sono stati polemici tutti, sindacalisti, studenti di sinistra, intellettuali, dirigenti comunisti, maoisti. Ciascuno avrebbe voluto un'opera che sostenesse le proprie ragioni: invece questo è un film sulla classe operaia>

Noi non li vogliamo più politicanti, sindacalisti, sòloni, professorini e fighetti che ci dicano cosa dobbiamo essere, fare e dire per liberarci, rifilandoci così soltanto un'altra gabbia che a loro piace di più.
Noi ci fregiamo di pisciare in faccia alla loro presunzione.
Noi siamo e tanto basta.


Il Collettivo Populista UPUC, Un Pezzo, Un Culo.


Avanti Fulvio!
Siamo con te, e con Situazionismo e Libertà e ci fregiamo dell'onore di nominarti per acclamazione membro del nostro collettivo di irrilevanza, ma non insignificanza, e resistenza umana.

mercoledì 10 gennaio 2018

Elezioni? Eccheccazzo, un po' di contegno!

il 4 Marzo si vota, ma a noi ci sono già esplose le gonadi
Come saprete, care lettrici e lettori, si stanno avvicinando le elezioni ed analizzeremo una ad una tutte le liste che si candideranno.
Per il momento abbiamo già pubblicato il nostro giudizio sulla Lega Nord spiegando perché non la voteremo e in seguito, una ad una, analizzeremo tutte le altre liste.
Per il momento stiamo studiando i programmi e seguendo il dibattito politico; in fondo si dovrebbe decidere del nostro futuro.
Ma è proprio il pensiero che sia quella la rosa tra cui scegliere le persone che gestiranno questo futuro per 5 anni che ci risulta una distopia: inspiegabile, inestricabile, inaccettabile.
Vogliamo quindi pubblicare questo breve e sintetico sfogo che anticipa concetti che saranno meglio sviluppati in seguito, per esprimere che razza di frustrazione si provi a cercare di capire cosa abbiano in testa quella manica di cazzoni che per disgrazia questo paese si ritrova come proprio ceto politico.

Crediamo che questo momento sarà ricordato come uno dei più stupidi della storia politica d'Italia... Tiriamo un attimo le somme.

PD: Un partito che ha fatto dell'antiberlusconismo una bandiera per 20 anni... per poi, una volta al potere, riuscire a praticare delle politiche ancora più liberiste di quelle di Berlusconi!
La discesa poi in campo di Matteo Renzi ha trasformato definitivamente questo partito: dall'essere un partito di bacucchi rincoglioniti, è diventato un partito di giovani rincoglioniti in salsa Erasmus. E' la versione farsesca del Partito Nazionale Fascista.

Lega Nord: Dopo aver detto che non avrebbe fatto alleanze con Berlusconi, si allea con Berlusconi. Dopo aver detto di voler uscire dall'Euro, dice che non vuole più uscire. Dopo aver detto di abolire il Job Act, dice che non lo vuole più abolire. Ci aspettiamo che dopo di aver detto di vincere le elezioni, poi non le vince...

Movimento 5 Stelle: Idem con patate.

Più Europa: Più che un nome di un partito, sembra una minaccia vera e propria. L'ennesima trovata del Partito dei Radicali, che se lo cagano talmente in pochi che ha dovuto allearsi con Bruno Tabacci per poter accedere alle elezioni (e nonostante rappresenti soltanto 4 rincoglioniti in croce, riesce ad avere un'enorme influenza in politica).

Liberi e Uguali con Grasso: Dopo le polemiche sul fatto che bisognasse usare la parola Liber* e Curvy (anziché Grasso), questo partito vuole rappresentare la sinistra italiana... e ci riesce benissimo! Infatti rappresenta soltanto 4 rincoglioniti in croce, talmente stupidi e ideologizzati da essere la parodia di loro stessi!
Ci aspettiamo che dopo l'ennesimo 2% alle elezioni, il partito farà una riunione per capire dove hanno sbagliato... e dopo 5 anni, rifare esattamente le stesse cose!

Merita una menzione speciale inoltre il partito "petaloso" (sic) di Beatrice Lorenzin, che vuole essere "un vaccino contro l'incapacità e il populismo".
Merita di essere citato perché è la prova definitiva che i vaccini fanno diventare autistici (infatti in questo momento abbiamo soltanto voglia di metterci in un angolino e dondolarci in attesa dell'apocalisse nucleare)

Un discorso metodologico sulle Elezioni


La tesi che si desidera difendere è che un programma elettorale ben concepito, oltre a soddisfare 5 principi metodologici che tengano insieme i suoi contenuti sui quali non dilungarsi (coerenza, implementabilità, non estremismo, incompletezza e verificabilità), deve avere anche esteriormente, o meglio discorsivamente, la parvenza di una cipolla tagliata in sezione.

Per contro un programma esteriormente e discorsivamente in formato lista della spesa è, necessariamente, un programma politicamente mal concepito.

Sembra inutile sottolineare che "ben concepito" non sia automaticamente sinonimo di "sottoscrivibile". Anche i più acerrimi nemici possono dimostrarsi abili e candidarsi con un programma ben concepito che pure non si voterebbe mai.

Quello che si intende dire è che un programma ben concepito è quello che coglie il senso reale del momento che si sta vivendo, la contraddizione storica centrale.

Quindi esso ha un centro, un nucleo, chiaro e identificabile: piccolo e sintetico ma altamente denso e che si pone con prepotenza al centro dell'attenzione, riuscendo a funzionare come centro di gravità degli anelli che gli si sviluppano intorno, sapendo ben spiegare perché gli "argomenti concentrici" siano legati e discendano dal centro.

Fare questo significa saper compiere operazione di SINTESI POLITICA ed è la sintesi ciò che veramente unisce.
Una programma lista-della-spesa trasmette invece un'idea completamente diversa.

Ciò che fa venire in mente è che le elezioni sono vicine e che un tot di debolezze sommano la propria singola istanza, componendo appunto una lista, nella speranza che questa sommatoria mandi qualcuna di queste istanze dentro le istituzioni. 

Il giorno dopo ciao.

Il programma lista-della-spesa non appassiona le persone perché mancando un centro di gravità di ciò che si contesta e insieme di ciò che si vuol fare come nocciolo caldo, sintetico ed altamente denso, esso finirà per appassionare esclusivamente i tifosi delle singole istanze che compongono nell'insieme la sommatoria, sempre che alcuni di questi addendi non scazzino tra loro come per lo più accade.

Insomma: in politica la sommatoria in realtà non aggrega e non ha potenziale espansivo proprio perchè non produce sintesi e non identifica 1 ( UNO ) fulcro tematico che tiene insieme il resto.
Questo spiega anche una delle fondamentali ragioni della marginalità politica delle sinistre in Italia, il loro vezzo di svegliarsi ogni volta non prima di quando mancano 4 mesi dalle elezioni e a quel punto sommare debolezze elaborando liste della spesa.

Gli altri, tutti gli altri, hanno programmi politici incomparabilmente meglio concepiti.

Che si tratti del culto del progresso e del nuovo sia pur svincolato da un orizzonte di emancipazione sociale ( il PD ), che si tratti dell'ordoulivismo della sinistra finta candidata a questo giro ( LeU ) che è poi lo stesso nocciolo duro del PD, il culto del progresso svincolato dall'emancipazione degli esclusi ma accompagnato dalla pretesa di chiamarlo socialismo, che si tratti dell'individualismo metodologico/imprenditoriale del made self man ( Apperluscone ) o che si tratti di "hanno stati i negri" con la Lega Nord, oppure ancora "la casta se so' magnati tutto" col m5s, tutti hanno un nucleo tematico forte che funziona come fulcro e regge tenendo unito il resto.

Compiuta questa operazione leggetevi un programma de' sinistra e avete capito perché oltre il 2,5% non si va.

lunedì 8 gennaio 2018

Nel segreto dell'URNA - 1 - La Lega


Ci rendiamo conto quanto sia ridicolo elencare le motivazioni per le quali, nel segreto dell’urna, non daremo il nostro voto alla Lega: basta solo il nome.

Basterebbe anche solo elencare i nomi della dirigenza di partito per far storcere il naso al più volonteroso e democratico elettore.

Ma noi vogliamo un po’ perdere tempo.

Quel tempo che nel mondo liberale e produttivo sembra avere un valore inestimabile e che noi ovviamente, da bravi rivoltosi, vogliamo buttare via in spregio al pensiero comune.

In effetti è un po’ perdere tempo evidenziare come non sia politicamente spendibile un voto ad un partito che già promette alleanze con Silviuccio nostro. Un alleanza che di fatto si configura come subalterna e poco autonoma. Con tutte le conseguenze che ci si possono immaginare. Anche storiche diremmo.

Come è perdere tempo la considerazione del fatto che nella Lega convivano due anime : quella Salviniana e quella Maroniana. Una votata ad un sovranismo di facciata, l’altra radicalmente secessionista. Non è dato sapere quale sia quella egemone; forse la Salviniana fino a quando garantisce le poltrone. Entrambe comunque informate all’idea di Stato Minimo. Flat Tax, Minibot, regionalismo, privatizzazioni i mantra leghisti. D’altronde devi soddisfare il tuo primo elettore: quello con la fabbrichetta, la barchetta e che butta nell’umido le orecchiette con le cime di rapa o il kebab.

Dalla padella UE alla brace nazional-liberale il salto è brevissimo. Questo finto patriottismo che ha come base, in fondo, la constatazione che non si sta mai bene a Sud di un qualcuno che detta le regole. Meglio mettersi il vestito migliore per accedere all’Europa che conta, magari sognando di diventare un land crucco, mollando la compagnia stracciona degli italiani pizza-mandolino-mamma.
E dunque dagli all’Europa delle Banche, all’internazionalismo progressista ma non una parola sulla libertà della circolazione dei capitali. Maastricht ok ma padano.

Riguardo poi alla libera circolazione di persone, si può tranquillamente dire che è la base di legittimazione politica della Lega. Nel senso che se si contingentassero gli sbarchi, i simpatici leghisti perderebbero buona parte del loro programma. Del resto la Bossi-Fini mica si chiama così per nulla: molti immigrati, molto onore. Dunque anche qui una battaglia di facciata, spendibile tra le fila degli xenofobi padani che “vegnen chi a rubà el laurà a numm”.

Diciamocelo, infine: il pessimo tentativo di allargare il consenso anche tra i Terroni con “Il Sud con Salvini” è stato osteggiato primariamente da correnti interne al partito, oltre all’evidenza del fatto che in meridione se lo sono cagato veramente in pochi. Quindi pomodori marci a Napoli e indignazione feroce a Pontida: la scommessa salviniana è quasi costata il premierato.

Il borghismo dunque ha attecchito poco nel radicalismo leghista, risultando solamente propedeutico alla cooptazione di quelle frange “sovraniste” disperse e spaurite, sballottate tra gli estremismi antiUE di CasaPau e di quello stalinista di Rizzo. L’approdo centrista dell’antieuropeismo poteva fare da coperta di Linus. E lo ha fatto, per i diversamente democratici.


Ma noi siamo populisti e non ci facciamo fregare dalle sirene. In questo mondo di falsa politica il nostro fiore all’occhiello è l’irrilevanza.