09/06/2018 - Intervento di Enea Boria
SITUAZIONE
DETERMINATASI CON IL PERCORSO DI FORMAZIONE DEL GOVERNO
Non ripeto valutazioni già fatte sul risultato di un voto, certamente
destabilizzante, nel quale si sono unite grandi aspettative rispetto ad un
nuovo corso politico soprattutto al Sud, che rappresenti le necessità delle
persone dovute allo stato di grave abbandono e di profonda crisi occupazionale
in tali regioni, ad un autentico desiderio di vendetta nei confronti di
chiunque abbia governato lo status quo nel corso dell’ultimo decennio.
Dico subito che il governo che alla fine è stato composto ha un profilo tale
per cui sarà più semplice opporsi rispetto a quanto era sembrato in via di
composizione durante la prima fase dell’elaborazione dell’accordo m5s-lega.
La prima bozza di contratto di governo, che sembrava dovesse essere retta dal
prof. Sapelli, era sicuramente molto più avanzata e probabilmente non sapremo
se sia stata volontariamente fatta sfuggire dalla trattativa riservata per
volontà delle due forze politiche, come operazione di marketing, o se all’interno
della maggioranza qualcuno abbia voluto sabotare una opzione troppo avanzata.
Il profilo della sintesi politica infine compiuta a mio giudizio è ugualmente
molto serio, ma tuttavia molto meno progredito per due motivi:
1) è molto grave e non va preso sotto gamba il fatto che la rappresentanza del
lavoro sia stata assunta, praticamente “vinta in appalto”, da una frazione del
capitale. In particolare quello relativamente sconfitto nella recente storia
del paese e vittima del ciclo economico, cioè quello dotato di meno proiezione
internazionale e relativamente più vincolato all’esistenza di un mercato
interno che acquisti i propri prodotti. In particolare, qua nel settentrione,
parliamo non tanto della piccola impresa e della micro impresa ma piuttosto
della media impresa, che è il vero referente nella società della Lega Nord.
Tale profilo conduce ad una sintesi programmatica più allettante per i ceti
popolari rispetto al programma politico del grande capitale, sia industriale
con proiezione internazionale maggiore sia finanziario, che è stato ben
rappresentato dai vari governi a trazione PD: da Monti fino a Gentiloni, cioè i
governi di maggior fedeltà eurocratica.
Più allettante, ma in ogni caso ostile.
2) a differenza della prima bozza programmatica di governo che sembrava rivolta
a politiche maggiormente redistributive e indirizzata ad aprire un fronte di
lotta piuttosto aspro con le istituzioni europee - ed in tal senso Sapelli
sembrava veramente essere la persona giusta - il compromesso di governo attuale
ha visto completamente scomparire la prospettiva di conflitto con Bruxelles e
si è molto appiattita sulla più classica impostazione politica della Lega Nord.
Una Lega ritornata quasi bossiana.
Il dato veramente rilevante è stato piuttosto la mossa del presidente della
Repubblica Mattarella il quale si è assunto la responsabilità di sbilanciarsi
ben al di la delle prerogative del proprio ruolo in merito al veto sul
professor Savona, argomentato su basi squisitamente politiche e non
giuridico-formali, costituendo così un grave precedente nella storia
repubblicana.
Dato un governo che per l’ennesima volta vuol sotterrare la maggior criticità
di questo tempo, cioè la contraddizione europea, il paradosso è che proprio chi
voleva rendere a tutti i costi l’Unione Europea intangibile ha in realtà
evidenziato maggiormente questo tema, assumendosi la responsabilità di
diachiarare che in Italia il TFUE e i trattati comunitari sono legge al di
sopra della Costituzione.
Tanto affanno per nulla se consideriamo inoltre che la posizione di Savona, sia
per la volontà di sanare il debito pubblico con svendite massive di patrimonio
pubblico sia perché contemplava un piano b semplicemente per avere qualche peso negoziale, era
tutt’altro che barricadera.
Insomma, almeno sul piano discorsivo e retorico, al di la della gravità politica
dell’atto compiuto, la mossa di Mattarella è sicuramente stata un autogoal che
legittima con forza gli argomenti di qualsiasi forza euroscettica.
Sappiamo che essere rappresentati in futuro da un governo sarà un’operazione
non solo politicamente difficile ma anche rischiosa, poiché i garanti
dell’ordine europeo si son dichiarati disposti a tutto.
Tuttavia il panico delle élite concorre a legittimare questa causa agli occhi
dei cittadini, che hanno sempre più gli occhi aperti.
IL MOTIVO DEL NEGATIVO GIUDIZIO SUL PROFILO DEL GOVERNO CONTE
Nel progetto dell’attuale governo degli elementi positivi sono presenti e per
questo motivo bisogna sicuramente modulare con attenzione la critica da
rivolgergli.
Non sempre e non tutto andrà osteggiato, ma sono prevalenti degli elementi
negativi piuttosto chiari.
Elementi sicuramente pessimi sono:
a) la modalità con la quale è trattata la questione della giustizia. Un
esplosivo mix tra la storica vocazione forcaiola e sbirresca della Lega e il
moralismo grillino.
Dal ministro della giustizia Bonafede e dalla sua volontà di circondarsi come
consulenti da magistrati, alcuni dei quali in servizio, non ci si può aspettare
niente di buono, a maggior ragione per il fatto che il suo orientamento è tutto
rivolto a potenziare il sistema carcerario. Le carceri sicuramente necessitano
di essere ammodernate e non ho certamente intenzione di combattere una lassista
battaglia di principio contro la certezza della pena: il problema è che la sola
reclusione è estremamente discutibile come strumento di rieducazione e
reinserimento e, a monte del critico sovraffollamento carcerario, sarebbe stato
necessario domandarsi perché le carceri trabocchino.
A quando un governo che avvi una seria riflessione a proposito dell’inutilità e
dannosità di leggi quali la Bossi-Fini alla Fini-Giovanardi, entrambe tra le
prime cause del sovraffollamento carcerario?
b) l’elemento che tuttavia mi preme particolarmente sottolineare e che è per
noi di maggior interesse, sta nel fatto che si tratta di una sintesi
programmatica priva di elementi redistributivi.
La compagine di governo afferma di voler modificare la legge Fornero e l’idea
di tornare almeno a quota 100 è sicuramente da sostenere e gode di amplissimo
sostegno popolare; si afferma inoltre di voler sostenere il reddito dei
disoccupati e questo è un secondo elemento sottoscrivibile rispetto al quale il
governo andrà incalzato, non opponendo un muro ma cercando di spingerlo ad
essere consequenziale e non elusivo ( dobbiamo ad ogni modo ricordarci che tale
proposito impropriamente denominato “reddito di cittadinanza” dal m5s, verrebbe
perseguito attraverso un mezzo molto discutibile. Il cosiddetto reddito di
cittadinanza dei grillini, già in sé molto discutibile perché equivarrebbe ad
una acquiescenza rispetto all’estromissione delle persone dal ciclo produttivo
e la marginalizzazione nei rapporti di produzione, incentivando ancor maggiore
subalternità sociale, ha anche il difetto di essere molto simile al meccanismo
ricattatorio del sistema Hartz IV tedesco )
Soprattutto non si accenna minimamente a voler uscire dalla logica delle supply
side economics, cioè delle politiche che presumono di poter risolvere il
problema della disoccupazione e dello smantellamento della nostra manifattura operando
esclusivamente dal lato dall’offerta; il sotteso è tener fermo l’orizzonte
mercantilista delle politiche che si vogliono praticare.
Passando dal PD al governo pentaleghista, o legastellato che dir si voglia,
cambia ciò il paradigma da ordoliberismo tedesco in salsa più o meno
progressista a Reaganomics con 40 anni di ritardo.
Credo sia cruciale chiarire questo passaggio.
Uno dei pochi che stia elaborando analisi sensate nella sinistra
istituzionalizzata è Stefano Fassina, il quale ha recentemente sostenuto in un
articolo che occorre realizzare una compagine mossa da patriottismo
costituzionale che si opponga a due polarità politiche che ci schiacciano,
emarginando ogni reale possibilità di emancipazione di sfruttati e esclusi.
Secondo Fassina queste polarità sono il liberismo europeista da un lato – PD,
Forza Italia - e il nazionalismo dall’altro.
Ha ragione in parte.
Secondo me la parte imprecisa non è nel definire nazionalisti i pentaleghisti,
quanto nel non nominare esattamente l’altra polarità: essa non è semplicemente l’europeismo
liberista ma andrebbe definita con maggiore precisione come il fronte degli
ascari del nazionalismo economico germanico. Consegue che saremmo di fronte ad
una pessima alternativa tra due nazionalismi che si scontrano.
Uno nazionalismo straniero sostenuto dalle nostre élite, una borghesia
autenticamente compradora, e un sentimento revanscista incarnato nell’industria
del Nord, che è la vera anima di questo governo.
Ciò deve essere spiegato chiarendo il reale significato della proposta della
flat tax e del perché essa si inserisca nel proposito di non uscire dal
paradigma mercantilista.
“È giusto che chi guadagna di più paghi meno tasse. Perché spende e investe di
più… L’importante è che ci guadagnino tutti: se uno fattura di più, risparmia
di più, reinveste di più, assume un operaio in più,
acquista una macchina in più, e crea lavoro in più. Non siamo in grado di
moltiplicare pani e pesci. Il nostro obiettivo è che tutti riescano ad avere
qualche lira in più nelle tasche da spendere”. Così Matteo Salvini, ministro
dell’Interno, ai microfoni di Radio Anch’io, rispondendo a una domanda sulla
Flat tax.
Dobbiamo avanzare una critica rigorosa.
Il concetto
espresso da Salvini è un cardine di quell'idea dell'economia che è definita
come “supply side economics”.
Essa ha trovato prima massiva applicazione con Reagan negli USA.
Uno dei cavalli di battaglia del pensiero di Reagan era la "curva di
Laffer", dal nome di uno dei suoi economisti consiglieri.
Secondo Arthur Laffer, oltre una certa soglia di imposizione fiscale, le tasse
disincentivano a lavorare e produrre.
Occorre quindi trovare un regime ottimale abbassando fortemente le tasse, in
maniera non progressiva, perché tanto questo non provocherà minori introiti per
lo stato ma un aumento esponenziale della base imponibile, inoltre la parte più
ricca della società metterà senz’altro a frutto i soldi risparmiati creando
lavoro e quindi prosperità che sgocciolerà in parte nelle tasche dei ceti
popolari ( trickle down ).
La storia
sbugiardò Reagan su tutta la linea; in effetti con la sua politica
semplicemente i ricchi poterono arricchire più alla svelta, ma nel bilancio USA
aumentò enormemente il deficit e il debito senza per altro che questo
corrispondesse ad alcun investimento strutturale compiuto e quindi a nessun
ampliamento nell’erogazione di servizi o creazione di nuovi buoni posti di
lavoro.
Ad oggi possiamo affermare che appiattirsi sulle leggende della supply side
economics è in assoluto il modo più stupido per essere anti-keynesiani.
Non il modo meno efficace, badate, ma proprio il modo più stupido.
La flat tax è concettualmente figlia di queste stupidaggini ( ricordo quanto
diceva J. Stiglitz sulla curva di Laffer: una fantasiosa teoria che non ha
maggior peso scientifico di uno scarabocchio su un pezzo di carta ).
Volendo
uscire da un mero economicismo e sforzandosi di capire il senso politico
generale di quanto sta accadendo, questa resurrezione senza resipiscenza
francamente anche un po' grottesca della "Reaganomics" in Italia con
40 anni di ritardo, dovrebbe farci capire che il problema è il paradigma di
fondo che resta lo stesso di prima, alla faccia del “governo del cambiamento”.
Le supply side economics prospettano sempre soluzioni operate dal lato
dell'offerta, non diversamente da quello che hanno fatto Berlusconi un tempo,
Monti, Letta, Renzi, Gentiloni.
Non a caso Salvini ha già detto chiaramente che la reintroduzione dell’articolo
18 o altri elementi che ricostituiscano una buona rigidità contrattuale per i
lavoratori, sono propositi non compresi dal contratto di governo.
Lo spirito è sempre lo stesso: smonta il diritto del lavoro, le aziende
assumeranno di più, tolti i lacciuoli lavoreremo tutti, guadagneremo meglio per
questo motivo e la maggior capacità di produrre delle aziende ad un costo del
lavoro per loro più vantaggioso trainerà il benessere generale.
Questo, il governo del "cambiamento" non può dirlo apertamente;
suonerebbe effettivamente troppo poco popolare, se non altro perché già troppe
volte lo abbiamo sperimentato.
Ma non uscendo dal medesimo paradigma persegue la stessa obiettivo di un Monti semplicemente
proponendosi di abbassare le tasse per imprese e alti redditi, invece che
direttamente il costo del lavoro.
Scopo di questa operazione?
Avere capacità di penetrazione sugli altri mercati.
Esportare, esportare, esportare.
Cosa che si può realizzare efficacemente quanto meno si redistribuisce ricchezza
entro il proprio Paese e quanto meno si tende ad importare, anche perchè i
lavoratori non hanno da spendere.
Si prosegue nella logica di farci produrre, per bassi stipendi e con scarse
garanzie contrattuali, ciò che non potremo permetterci di comprare.
Nazionalismo economico.
Impoverire i propri lavoratori e scaricare le contraddizioni all’esterno
esportando; peggio ancora improntando tutto l’apparato produttivo verso
l’export, cioè uno dei principali vizi di fondo che rendono insostenibile
l’eurozona.
Esattamente in questo senso il confronto politico in Italia sta avendo luogo
tra gli ascari del nazionalismo economico germanico, e un revanscismo
nazionalistico del nostro piccolo capitale temporaneamente sconfitto dalla Germania;
due fronti che vogliono essere nemesi uno dell’altro rimanendo però all'interno
di un identico paradigma mercantilista.
Tale politica non si contesta né difendendo l'euro, cioè schierandosi con gli
ascari del nazionalismo commerciale germanico, né diventando codisti rispetto a
chi vuol passare dal nazionalismo economico altrui, subìto a senso unico, al
nazionalismo economico praticato in proprio.
Si combatte al
contrario proponendosi di perseguire un modello sociale e di sviluppo trainato
innanzitutto dall'espansione del mercato interno.
Ciò presuppone il liberarsi dalla moneta dei tedeschi, ma presuppone anche il
far poi l'opposto di quel che si propone di fare l’attuale governo, senza per
altro nemmeno più proporsi di liberarsi dall'euro, cioè redistribuire e tornare
allo stato economicamente interventista.
I modelli export lead creino dualismi devastanti sul mercato del lavoro
interno ( la Lega è in realtà più secessionista oggi che ai tempi di Bossi, di
fatto, perché senza interventismo e senza redistribuzione, con un mega sgravio
fiscale di cui si avvantaggerà il solo Nord, il meridione finirà una volta per
tutte di andarsene alla deriva ).
Bisogna sottolineare e capire come spiegare alle persone che i modelli produttivi
trainati dalle esportazioni sono il vero nazionalismo economico, e si tratta
sempre di modelli che prosperano su un modello sociale di drastico e diffuso
impoverimento interno.
Notevole inoltre l’ipocrisia di vari esponenti della Lega proprio su questo
tema.
“Se non puoi svalutare la moneta svaluti il lavoro”,
e questo non ci va bene ( perchè stiamo subendo un attacco dal mercantilismo
tedesco ), ma se possiamo intervenire sulla moneta e insieme continuare a comprimere
il costo del lavoro con strumenti interni non correggendo nulla nella totale
deregolamentazione contrattuale di cui siamo vittime, così da continuare a guadagnare
competitività di prezzo e proiezione estera, va invece benissimo.
A che pro, quindi, criticare parametri e norme regolatrici dell’eurozona e il
comportamento della Germania?
Sembra quasi che il problema per la Lega sia strappare la frusta di mano al
padronato tedesco per rivendicarne in proprio l’esclusivo utilizzo; peccato non
sia noto il parere di chi in entrambi i casi prenderà frustate.
COSA POSSIAMO FARE, IN CHE MODO ARTICOLARE IL NOSTRO DISCORSO?
1) La prima cosa che possiamo fare è quindi già spiegata: raccontare e far
capire nel più semplice modo possibile perché la necessità dei lavoratori sia
non lasciarsi comprimere tra due nazionalismi economici ma sostenere le ragioni
di un modello di sviluppo trainato dall’espansione del mercato interno.
Il nostro scopo è uscire dal mercantilismo, il resto segue a ruota: cioè tanto
la necessità di uscita dall’UE quanto quella di ricostruire una economia mista
a forte indirizzo e pianificazione pubblica perché questo è l’unico vero modo
per redistribuire.
Questa è la premessa di una svolta di carattere socialista e internazionalista,
non rivolta a scaricare all’esterno le proprie contraddizioni sociali interne.
2) Darsi un progetto e un respiro internazionalista.
Come spiega Screpanti in un suo articolo, da questa unione europea bisogna
uscire ma di una unione europea abbiamo comunque bisogno.
La nostra economia deve necessariamente essere piuttosto aperta, anche se non
incondizionatamente aperta, sia a causa della necessità di approvvigionamento
in materie prime sia delle della nostra industria di trasformazione e il problema
del vincolo esterno non si riduce nel problema dell’UE, come dimostrò la
Francia di Mitterand dissanguatasi in meno di due anni per via del deficit
commerciale verso la Rft.
Quel che occorre è una confederazione tra stati sovrani, non una integrazione
di mercato.
Occorre inoltre restituire un peso geopolitico al Mediterraneo, unico modo in
prospettiva anche per gestire in modo umanitariamente accettabile i flussi
migratori, invece di essere fanalino di coda della mitteleuropa.
Le confederazioni inoltre nascono normalmente con scopi militari e in
prospettiva questo serve anche ad avere un peso internazionale: uno spazio di
mercato evoluto che permetta di negoziare efficacemente i rapporti commerciali
e di essere presi sul serio anche sul piano militare, senza per questo dover
essere una eterna propaggine della Nato.
Il Mediterraneo può essere indipendente, solidale, rispettato e
internazionalista, purchè ci si ricordi che questa unione non può essere
trasformata nella confederazione che sarebbe auspicabile, ma quest’ultima può
nascere solo sulle ceneri della prima.
3) Occorre non essere travolti dalla questione dell’immigrazione, come già ci
siamo detti a Bologna.
Questa necessità si collega alla necessità di confederazione mediterranea, dato
il problema dell’enorme pressione demografica africana, con una prospettiva da
qui a 20 anni di 2 miliardi di abitanti nel continente africano con età media
di 20 anni.
Rapporti tra stati, equi, non predatori, solidaristici e volti a dare ai paesi
partner condizioni di sviluppo e benessere autonomo e indipendente.
Purtroppo non esistono soluzioni strutturali a breve termine all’enorme
pressione migratoria e demografica cui l’Italia è sottoposta, ma solo soluzioni
di natura geopolitica. Che tuttavia nessuno pare interessato a prospettare.
L’Africa non entra in Italia, non ci sta e le persone hanno comprensibilmente
paura in quest’epoca di restringimento drammatico del futuro: per questo motivo
le attuali sinistre sono una continua campagna elettorale in favore della Lega
Nord.
Rideclinare sensatamente questo tema significa affermare che il problema non è
combattere gli immigrati, ma il bisogno di emigrare.
Inoltre spesso gli immigrati appartengono al ceto medio dei paesi sorgente,
così come esso da noi spesso emigra ( nell’ultimo anno son stati più numerosi i
giovani italiani emigrati dei giovani africani immigrati in Italia ).
Questo fenomeno toglie risorse sia a noi che a loro, alimentando il rapporto di
dipendenza da paesi terzi perché in entrambi i casi la prospettiva è rimanere
privi della classe dirigente alternativa, con la quale costruire un altro
futuro.
Il modello del ddl Ferrero-Amato secondo me va bene come proposta programmatica
ma non attaccherei su questo: bisogna saper rispondere alle domande delle persone
in modo credibile ma il terreno di lotta non lo deve scegliere la Lega.
4) Credo si debba attaccare la lega sul fatto di osteggiare le redistribuzione
interna, ma mantenendo modalità discorsive amichevoli e concilianti nei
confronti degli elettori del m5s, perché la mancanza di una volontà redistributiva
da parte della Lega danneggia il popolo di chi ha votato M5S, specialmente al
Sud e a costoro dobbiamo riconoscere sempre di essere la parte migliore del
paese, lo stesso blocco sociale di cui siamo noi stessi parte ed al quale
aspireremmo rivolgerci.
5) attaccare il disordine sul quale la Lega prospera e che ha sempre alimentato
a causa dell’ipocrisia e della inapplicabilità delle legge Bossi – Fini. Facendo
anche l’esempio dell’insicurezza che alimenta l’opposizione alla costruzione di
una moschea a Milano: un luogo istituzionalizzato, riconosciuto, visibile, che
riconosca decoro e dignità ai molti musulmani immigrati presenti in città è
anche un luogo molto più semplice da controllare e tenere sotto controllo delle
decine di cantine nelle quali si riuniscono ora da segregati, in un regime di
esclusione che inoltre rischia di alimentare fenomeni di radicalizzazione.
Gli esempi che si possono fare di cinica produzione di fenomeni di disordine
per poi proporsi come falsa soluzioni, sono numerosi.
RIDEFINIRE LA QUESTIONE DEL RAPPORTO COL PROGRESSO.
La contraddizione della sinistra si evidenzia ad esempio nella questione della
disoccupazione tecnologica.
Mi è capitato spesso di sentirmi opporre questo tema che equivale ad affermare
che non esista più nulla da rivendicare. Non è così.
Non viene mai affronta l’idea che il lavoro si trasformi e il suo futuro stia
nel RIPENSARE IL RUOLO DELLO STATO, creando lavoro nella cura alla persona,
istruzione, medicina, tutte settori lasciati andare allo sbando.
Senza considerare tutto il lavoro che si potrebbe realizzare mettendo mano alla
nostra rete infrastrutturale ormai disastrata; proposito però realizzabile solo
con massimi investimenti pubblici e nazionalizzazioni industriali.
Per questo motivo è necessaria la CRITICA DEL MUTUALISMO come orizzonte
strategico, quando non può essere più che tattico.
Trattando la questione del mutualismo come ad esempio Potere al Popolo, ciò che
si fa è sfuggire dalla responsabilità di riconoscere un ruolo allo stato,
proponendosi di ricostruirlo, ripristinarlo, trasformarlo.
Così da un lato si elogia il progresso, comunque esso sia, ma non lo si
problematizza, dall’altro lato ci si accoda a proposte retoriche come quella di
Hamon di tassare i robot.
In questo caso non ci si avvede del fatto che imporre per via fiscale un gap
tecnologico al paese, equivarrebbe a doverne chiudere come le frontiere
economiche e commerciali più di quanto non sia possibile e auspicabile,
rassegnandosi in ogni caso a standard di vita sempre più arretrati.
Tuttavia, anche se bisogna imparare a evitare queste ambiguità e contraddizioni
delle sinistre istituzionalizzate, la neutralità del progresso non può essere
mai più data come un fatto scontato.
Occorre rifarsi a quanto espresso da Polaniy nella sua teoria del doppio
movimento, riconoscendo perché siano oggi forti in tutta Europa movimenti come
la Lega che criticano gli effetti della globalizzazione e non le cause puntando
il dito sui soli effetti socialmente disgregativi.
Il nostro spazio culturale e politico si trova nel criticarne le cause di
questa disgregazione, ma occorre imparare a farlo senza disinteressarsi degli
effetti sociali e culturali, snobbando e considerando gretto conservatorismo lo
straniamento col quale le persone si misurano di fronte alla rapida
disgregazione delle loro comunità sociali e delle loro tradizioni.
Da cui la necessità di una sinistra non progressista, fortemente ancorata ai
valori di comunità, della continuità storica dei popoli, che bisogna saper
declinare in termini non escludenti rivendicando il bisogno umano profondo di
radici come strumento di reciproco riconoscimento, senza per questo fondare
l’idea di nazione in termini astorici su una tradizione immutabile.
Necessità, questa, sottile e complessa, di prendere sul serio una serie di
cause normalmente considerate come “conservatrici”, senza perdere di vista il
senso della dinamicità della storia e della società.
QUESTIONI ORGANIZZATIVE
- Pagina visibile, con sezioni, spazio di discussione. ( FSI ha una bella pagina ad esempio )
- Associazione culturale davanti, da far crescere localmente con ampia
autonomia sulle iniziative realizzate e scopo di costituire un fondo cassa
- Statuto flessibile per iniziare a lavorare e capire come funzioni la
possibilità del 2x1000.
- Statuto flessibile per cominciare a gestire una organizzazione facendo
esperimenti organizzitivi su noi stessi. Trovare una formula che funzioni che è
difficile poter immaginare già preconfezionata ma potrà sortire solo da
aggiustamenti successivi.
- Organizzazione corsi, seminari, pubblicistica, anche e sempre con lo scopo di
costituire fondo cassa.
- Non correre il rischio di far appello alla volontà di partecipare di chi
purtroppo, anche volendo, non può farlo.
Per questo nelle attività locali delega ristretta a termini temporali brevi,
rapporto tra centro e periferia assiduo e alimentato anche con strumenti
digitali, che devono però essere di complemento e non certamente sostitutivi,
anche perché tremendamente manipolabili.
In futuro questo dovrebbe valere anche per incontri di definizione di linea ed
organigrammi, non avendo più il livello intermedio dei delegati, i problemi che
ne discendono e che allontano le persone.
- problema del funzionariato: stare attenti a non diventarne dipendenti anche
se in ogni caso esso è indispensabile.
- Delega ristretta nel tempo, se e quando potremo anche retribuita, ma sempre
circoscritta nel tempo. I singoli non devono potersi rendere indispensabili
condizionando così la possibilità di ri-orientamento politico
dell’organizzazione stessa.
- Think tank dietro, per costruire relazioni cercare di avere influenza, il che
servirà comunque, anche se e quando sarà possibile passare a una strutturazione
di tipo partitico.
- Stratificazione dell’organigramma non esclusivamente territoriale ma anche
per aree tematiche, così da venire incontro ai tanti che un radicamento
territoriale non lo hanno più e hanno problemi di partecipazione a causa dei
tempi di lavoro..
- Apertura massima e coltivare relazioni, sempre tenendo conto di quanto la
galassia sovranista sia autodistruttiva e con ogni probabilità anche piena
zeppa di mestatori e guastatori organizzati, con spesso la Lega come casa
madre.