martedì 22 ottobre 2019

L'avvento della meritocrazia

Si chiamavano Unità Sanitarie Locali e le hanno fatto diventare Aziende Sanitarie Locali.

Dietro i nomi c'è una logica.

Dietro il processo di aziendalizzazione, o meglio dietro la copertura ideologica della privatizzazione, ci sono risvolti che hanno investito tutte le aree del settore pubblico.
Tipicamente quello che è accaduto è che le dirigenze, di nomina politica ( anche se non ufficialmente. Un giorno riprenderò il discorso su quel libro che voglio scrivere. Spero di non dover aspettare la pensione ), introducono elementi di aziendalismo secondo paradigmi attuali negli anni '80. Sbagliato l'aziendalismo, surreali gli effetti di volersi adeguare ai tempi con l'aziendalismo in forme superate.
Comunque una delle seghe mentali che vengono prodotte da questa ondata ideologica è la possibilità - finalmente! - di fare differenze tra una busta paga e l'altra.

Mica tutti siete ugualmente meritevoli!

Mi è capitato una volta di dover presenziare ad una discussione nella quale venivano sciorinati esempi, di capi e loro passacarte, che si autoapplicavano parametri estremamenti oggettivi, tipo "per peso di carta prodotta" o quantità di riunioni, magari nemmeno verbalizzate.
Dentro di me riuscivo solo a pensare "perchè sono qui?".

Ad un certo punto, come mi capita spesso, ho provocato diffuso disagio e ho fatto calare il silenzio, riportando un esempio tipico che credo di poter individuare bene.

Ho detto più o meno che in un processo produttivo con delle fasi distinte e molto facilmente individuabili, sarebbe anche possibile fare misurazioni della produttività piuttosto precise utilizzando un metodo quantitativo.
Certo, volendo considerare attuale il modello taylorista, o volendo reintrodurre il cottimismo pre-statuto del 1970, ma sorvoliamo...
Chiunque riesce a capire, infatti, come sia possibile farlo nell'ipotesi che tu produca, con un procedimento a catena, dei rubinetti.
Ma nel momento in cui si eroga un servizio e non si fanno rubinetti, questo criterio risulta già inapplicabile.

Ma a quel punto ho sollevato anche un'altra questione: come facciamo a individuare esattamente cosa sia la produttività e come facciamo a metterla in una relazione che siamo in grado di spiegare col concetto di efficienza, o meglio, di efficacia rispetto ad un preciso obiettivo dato?
Infatti, ho detto, supponiamo che un tecnico abbia la responsabilità di monitorare la presenza di gas compressi nel bunker preposto allo stoccaggio delle bombole che una data struttura di ricerca utilizza e che abbia la responsabilità di garantire la continuità: cioè da un lato tener conto di spazi di stoccaggio non infiniti ma contemporaneamente monitorare quale sia l'andamento medio dei consumi di bombole di gas, i tempi di evasione di ordine di gas e di consegna del materiale acquistato, gestendo tutto quanto in modo che determinate operazioni di laboratorio in funzione 7 su 7, h24 x 365, non si fermino mai per mancanza di nuove bombole cariche.

Se volessimo a questo punto introdurre un criterio quantitativo questo tecnico sarà bravissimo quando ordinerà praticamente una bombola al giorno.

Il che però sarebbe del tutto irrazionale, perchè la massima efficacia nel suo lavoro la esprimerà nel momento in cui sarà in grado di garantire la continuità che venga richiesta, gestendo uno spazio di stoccaggio limitato, avendo fatto il MINOR numero di ordini di acquisto strettamente indispensabile.
Sicchè, ho detto, se non si è in grado di capire il senso di uno specifico servizio, pretendere di introdurre misurazioni quantitative come criterio "oggettivo" di misura della produttività, può soltanto incentivare forme di organizzazione del lavoro del tutto irrazionali, nelle quali si apparirà estremamente produttivi proprio perchè si riesce nell'impresa di non far funzionare più assolutamente nulla.

Sicchè, ho aggiunto, la realtà è che se si vuole misurare e valutare le persone è molto difficile, quasi impossibile, individuare criteri oggettivi e che in realtà l'unico modo è che chi abbia la responsabilità di farlo si assuma l'onere di farlo "a polso e sentimento", avendo la saggezza di capire che in una grossa realtà molto stratificata e complessa l'unica macro-suddivisione che si possa fare è tra due sole categorie: quelli che risolvono più problemi di quanti ne creano, quelli che creano più problemi di quanti ne risolvono.

Naturalmente sono stato guardato come se fossi pazzo, ormai fa parte del ruolo e non è che me ne freghi poi molto.

Però sono convinto di aver detto cose giuste.

Ecco: se è estremamente fumoso il concetto di produttività, a cascata lo è ancor di più quello di merito che ne è dipendente.

Da questo traggo la conclusione che quelli che parlano molto di "merito" sono i pochi ad essere assolutamente certi di non averne alcuno.

Enea